Editoriale - Virtus, uno scudetto mastodontico
Il sedicesimo tricolore della storia bianconera è arrivato nel modo più perentorio possibile
Sono passate poco meno di 48 ore dalla fine di Gara 4 della finale scudetto e ancora la gioia del popolo virtussino non si è spenta. Ed è facilissimo pensare che non si spegnerà tanto facilmente. Vent'anni dopo la Virtus torna ad essere Campione d'Italia e lo ha fatto nel modo più mastodontico possibile, senza perdere neanche una partita di playoff e battendo 4-0 senza possibilità di replica la grande favorita, l'Olimpia Milano incapace nel corso della serie di prendere davvero il bastone del comando se non per qualche momento del quarto periodo di Gara 1. Lì, sul +2 ma con l'A|X Armani Exchange che stava arrivando di gran carriera ad abbattere il muro bianconero, Stefan Markovic ha segnato una tripla che per moltissimi versi è stato Il Momento della serie. Da quel canestro la Segafredo non si è più tirata indietro e anche quando è finita sotto nel punteggio non ha mai dato l'impressione di non essere sul pezzo, di non essere sui binari giusti.
Lo scudetto numero 16 della storia virtussina ha tante firme. In primis Aleksandar Djordjevic, che ha evidentemente avuto il merito di credere fermamente nelle proprie idee e nei propri giocatori (peraltro ricambiato). Ciò che è cambiato nei playoff rispetto ad altri momenti della stagione non sono stati i principi di gioco, rimasti immutati sia in attacco che in difesa; piuttosto l'applicazione di questi principi è stata feroce, determinata, implacabile. Non c'è dubbio che l'intervallo di Gara 3 con Treviso nei quarti ha fatto da spartiacque, che ci sia un prima e ci sia un dopo quella chiacchierata nello spogliatoio qualunque tenore abbia avuto. Ma le squadre che vincono passano anche da fasi così, di confronto duro e aspro che però se viene indirizzato nel modo corretto permette di diventare granitici. Ed è quello che è successo alla Segafredo. Djordjevic ha sicuramente fatto delle scelte che non hanno pagato in questa stagione ma è sempre stato certo che fosse questa l'unica strada percorribile per questo gruppo per alzare un trofeo. E ha avuto ragione lui. Il suo futuro sarà ancora virtussino? Questo lo scopriremo nei prossimi giorni e c'è da credere che le parti valuteranno tante fattori, non soltanto lo scudetto vinto come è giusto che sia: se la visione e il percorso saranno comuni - e la possibilità che sia così c'è e non è bassa - il rapporto proseguirà.
E poi ci sono i giocatori, da Teodosic innegabilmente MVP e uomo copertina a Belinelli che si è messo a disposizione del gruppo capendo che il modo migliore per essere determinante era fare da esca per le difese colpendo al primo spazio libero. Da Markovic che ha vinto il suo primo trofeo mettendoci tanti zampini a Weems che da ago della bilancia è salito di tono proprio quando serviva. Da Hunter a Gamble, in difficoltà offensiva in finale ma essenziali per l'apporto difensivo. E poi Abass e Alibegovic, che per motivi diversi hanno avuto una stagione altalenante ma che hanno vissuto un'ultima parte di stagione tarantolati sui due lati del campo.
E Tessitori, che durante la stagione ha vissuto momenti dominanti e che un infortunio al ginocchio ha tenuto lontano dal parquet ma non dalla squadra. E Adams, professionista esemplare che ha accettato il ruolo marginale datogli dal coach senza fare mezza polemica e rimanendo mentalmente coinvolto giorno dopo giorno. E Pajola, la Piovra, con una crescita esponenziale fino a diventare l'architrave neanche tanto segreta di questo scudetto: ora è atteso alla stagione forse più complicata, quella della conferma, ma con la certezza che con quella testa da Gran Lavoratore parte con solide basi. E Deri e Nikolic, comprimari in campo ma non nel gruppo e negli allenamenti. E infine Ricci, in lacrime dopo lo scudetto ripensando a tutti i sacrifici fatti nella sua vita per arrivare ad alzare la coppa da capitano della Virtus sul solco di Giganti delle V Nere e del basket. Giocatori che hanno dato tutto, che sono arrivati ai playoff in una condizione di forma invidiabile, che hanno avuto il merito di non credere di aver già vinto neanche quando Milano era sotto 3-0 e pareva ai più spacciata.
Da domani si riparte, da domani si lavora per sistemare le questioni in sospeso a partire dall'allenatore. Non c'è un attimo di respiro ma lo sport è così ed è il suo bello: non ti lascia cullarti sugli allori perché gli altri sono già pronti a lanciarti la sfida. La figura di Alberto Bucci, ricordato con commozione dal patron Massimo Zanetti nel momento della festa, può insegnare questo meglio di tutti. È davvero difficile pensare che uno come Zanetti possa accontentarsi di uno scudetto: vuole continuare a vincere, l'ad Baraldi e il dg Ronci lo sanno e non hanno pensieri diversi. Per la Virtus Segafredo il viaggio continua ma con uno scudetto sul petto si viaggia decisamente meglio.