Dirigenza, allenatore, squadra: il Bologna ha trovato l'equilibrio perfetto
Un connubio perfetta tra dirigenza, area tecnica, squadra e piazza: il Bologna vuole continuare a sognare
A Bologna non splendeva il sole in questo modo da chissà quanto tempo. In una piazza in cui la competizione è sempre all'ordine del giorno, servivano tre importanti assi nella manica per far sì che la piazza potesse tornare a riacquisire fiducia nella società.
Il primo è Joey Saputo, arrivato in uno dei momenti più terribili della storia felsinea. Spesso lodato, altre volte odiato, il patron canadese ha sempre dato l'idea di aver acquisito una squadra, non un'azienda come notiamo in altre società. Tanti soldi spesi, uno stadio che verrà ristrutturato e un altro provvisorio che verrà costruito, senza dimenticare lo sponsor sulle divise, la piena disponibilità sul mercato e un attaccamento alla causa felsinea che pare sempre più evidente.
Saputo che ha portato sotto le Torri uno dei dirigenti più capaci degli ultimi anni, Giovanni Sartori. Dopo l'incredibile lavoro svolto all'Atalanta, Sartori si è rimesso in gioco in una piazza ambiziosa come Bologna insieme a Claudio Fenucci e Marco Di Vaio. I frutti del suo lavoro vengono raccolti dopo tempo, non ha mai accettato progetti a breve termine e i primi risultati li stiamo vedendo in questa stagione. Lo ha dichiarato lui stesso: “Guardo partite in cui potrebbero esserci calciatori funzionali alla mia squadra”. Mai come quest'estate, il dirigente ha svolto lavoro più funzionale, perché a Bologna sono arrivati calciatori giovani, altri più esperti, calciatori che avevano bisogno di una scossa e altri alla ricerca di un rilancio. Le pedine perfette per lo scacchiere di Motta.
Thiago Motta, infine. L'uomo giusto al posto giusto. A Parigi prima e a La Spezia poi, l'allenatore italobrasiliano aveva fatto vedere cose interessanti. Ora, però, sta dimostrando di essere un allenatore importante, con una chiara filosofia di gioco e un carattere determinante. La squadra sembra costruita a sua immagine e somiglianza, merito del lavoro della dirigenza e del suo, perché in poco tempo ha consegnato alla squadra una precisa identità. Questo Bologna non ha paura, e forse questa è la maggiore differenza rispetto al passato. Non ha paura di giocare, non ha paura di osare, non ha paura di soffrire. Mente sgombra dai fantasmi del passato, uno spirito di sacrificio che non si vedeva da tempo.