Una ventina d'anni fa il Bologna aveva individuato nel Chievo il suo modello societario, prima ancora era stata la volta dell’Udinese. L’Udinese piaceva perché riusciva a scovare talenti in giro per il mondo, li faceva crescere, li valorizzava e poi li rivendeva a peso d’oro. Era considerato, quello, un buon modo per avere stabilità e garantirsi la permanenza in Serie A. Il Chievo in quegli anni finiva sempre - in classifica - davanti al Bologna. Piaceva la favola della piccola provinciale che, con la forza delle proprie idee, si arrampicava sulle vette della Serie A. Oggi quel Chievo non esiste più, è fallito e per trovare traccia di quel che è stato bisogna scendere le scale del calcio, fino ai dilettanti. Qualche anno dopo toccò all'Atalanta: i dirigenti rossoblù guardavano ammirati a cosa stava succedendo a Bergamo. Vivaio ricco, scouting prezioso all'estero, organizzazione. Poi il modello-Atalanta - lo sappiamo bene - ha preso il volo e per quelli del Bologna diventò insostenibile prendere ad esempio un club che aveva accelerato in quel modo. Era troppa la distanza da coprire. Bisognava cambiare modello. La Fiorentina? Mmm. No, troppo vicine troppo distanti. Il Sassuolo? Sembrava una «diminutio», il nobile e glorioso Bologna che prende a modello il piccolo Sassuolo? In società ebbero un sussulto di orgoglio. Anche no, dai. Fa niente se il Sassuolo andava in Europa e il Bologna no. A proposito: pure il Chievo ha frequentato l’Europa, così come l’Udinese ha avuto i suoi anni belli. E il Bologna? Nada. Vabbè. Chissà cosa diranno i diligenti dirigenti del Bologna il prossimo anno, magari che il modello è diventato l'Hellas Verona, che ieri sera ha battuto - in rimonta - la squadra di Mihajlovic. La sesta sconfitta nelle ultime sette partite giocate fa sprofondare il Bologna in una terra scivolosa, una zona d'ombra che per ora garantisce la squadra da grandi rischi ma che ci pone di fronte a una domanda che - di anno in anno - viene evitata, elusa, archiviata senza dolor. La domanda è: quale è la strategia di crescita del club di Joey Saputo? Quella che in giro si chiama «mission» aziendale, a Bologna che nome ha? La società ha forse fissato qualche obiettivo tecnico da raggiungere? Non è una domanda semplice, tutt'altro. Ricordiamo che il giorno della presentazione di Pippo Inzaghi sulla panchina rossoblù - era l'estate del 2018 e si sognava in grande dopo anni di assestamento - Joey Saputo disse che sì, perché no, lui in fondo all'Europa ci credeva e forse quello sarebbe stato l'anno buono. Poi è arrivato Mihajlovic e le cose sono andate prima benissimo - ha salvato con gioco e personalità una squadra che stava deragliando - poi benino, poi maluccio, non tanto perché è peggiorato ma perché non è mai cresciuto. Ok, anche per quest'anno l'anno buono sarà l'anno prossimo.

Match Analysis: l'Inter di Simone Inzaghi
Fortitudo-Tortona, Martino: "Affrontiamo una squadra di qualità. Dovremo essere energici e attenti su entrambi i lati del campo"

💬 Commenti